“Il trauma, i traumi e le temporalità – Il trauma con iscrizione e registro sociale e vincolare” di Janine Puget

Il trauma, i traumi e le temporalità¹
Il trauma con iscrizione e registro sociale e vincolare

Janine Puget (traduzione di Gabriela Sbiglio)

Il proposito di questo contributo è quello di rivedere il concetto di trauma e di apres coup, e di proporre altri significati alla luce delle differenti dimensioni della temporalità e delle particolarità della costituzione soggettiva nei diversi spazi. Questo mi porterà a definire quello che intendo per costituzione soggettiva nelle relazioni interpersonali e sociali. In questo contributo metterò l’accento sulla mia concezione di trauma nello spazio sociale.
Il concetto di trauma è stato un pilastro per lo sviluppo della teoria freudiana e molti degli scritti che ci furono successivamente. Finalmente nel 2005 l’associazione internazionale di psicoanalisi IPA dedica il proprio convegno al tema del trauma, introducendo così, per la prima volta nel suo programma, innumerevoli contributi riferiti al contesto sociale, al contesto politico e al contesto culturale.
Cent’anni dopo (e qualcosa di più) la scoperta della psicoanalisi, l’establishment rivede ufficialmente le implicazioni del concetto di trauma e i suoi molteplici significati trovandosi davanti al bisogno di prendere in considerazione la soggettività che si costruisce nel contesto sociale, ossia estendendo le frontiere della psicoanalisi. Indubbiamente il testo è arrivato più dall’imposizione del contesto sociale che non da esigenze teoriche.
Poiché ogni soggetto oltre ad essere soggetto del proprio mondo interno, delle sue fantasie, del suo mondo oggettuale e delle sue rappresentazioni, del suo modo di posizionarsi nella vita, diviene soggetto famigliare, soggetto sociale e anche soggetto culturale nelle sue relazioni con gli altri: in ogni una di queste soggettività acquisisce caratteristiche proprie.
Nella misura in cui questo sia accettato, è possibile concepire che la costituzione soggettiva vada perdendo una definizione identitaria e l’appartenenza a una definizione stabile per accedere alla comprensione di ciò che significa “essere costantemente prodotto” in ogni incontro. Questo è quello che proponiamo continuamente con Isidoro Berenstein (Berenstein I., Puget, J., 1997) da alcuni anni e quello che ci ha portato a stabilire i basamenti di una meta psicologia arrivando a rivedere i concetti già acquisiti.
E così, nelle relazioni fra le persone nei diversi tipi d’insiemi, il concetto di trauma necessariamente acquisisce in ognuno di loro un senso specifico. Crea le sue tracce, le sue maniere di ricordare e dimenticare, di costruire una storia, di realizzare il lavoro di memoria, le sue sofferenze e probabilmente quello che si intende per elaborazione di una situazione traumatica non tiene conto di queste molteplici possibilità. Quello che risulta chiaro è l’impossibilità di poterlo pensare in ogni circostanza in base alla storia singolare di ogni soggetto.
Quello che chiamo spazio sociale di costituzione soggettiva può comprendersi all’interno di due modelli. Uno contempla organizzazioni pensate come strutture solide, tali come Stato Nazione Famiglia; l’altro contempla le formazioni liquide (Bauman Z., 2000; Lewkowicz I., 2004) che non hanno una forma nè limiti precisi e che sono in permanente movimento. In ognuno di questi modelli i traumi con iscrizione sociale e vincolare produrranno diversi effetti. Nelle strutture solide il trauma è un fattore di dissorganizzazione-riorganizzazione e generatore di caos, nelle formazioni liquide invece attenta contro il loro stato fluido naturale arrivando a cristallizzarle dando una forma rigida momentanea fino a all’apparire di altre forme direttamente legate al fatto traumatico.
Inoltre un trauma così concepito arriva a far perdere la ricchezza delle oscillazioni provocate dalla costituzione soggettiva e dalle innumerevoli strade o percorsi che si aprono nella vita delle persone.
Nel primo caso, il trauma apre alla conoscenza delle reminiscenze della storia di questo vincolo in particolare o di quest’insieme e il concetto di apres coup è valido se porta a creare una nuova storia e deve essere riformulato in quanto al significato preciso che detto concetto può avere per gli insiemi. Nell’altro, la storia si crea a partire dal fatto traumatico e anche l’insieme si origina a partire da esso svincolandosi dalla precedente storia.
Predominano l’imprevedibile e i meccanismi di difesa che i gruppi e gli insiemi utilizzano in questi casi. Vedremo in seguito come nello studiare diverse maniere di concepire la temporalità i traumi si iscriveranno con caratteristiche proprie di quelle.
Frasi come: “le cose non sono come prima” o “come ritrovare l’equilibrio precedente” sono segni di resistenza ad accettare che gli spazi si modificano permanentemente e che l’abitare spazi non consente apparte
enze rigide. Altre frasi dimostrano l’opposto: “siamo legati al ricordo…; non si può uscire da questo…”. Una delle conseguenze di questo approccio è che esso porta a sfrattare dal suo luogo egemonico il concetto d’identità, d’appartenenza a spazi fissi. Non sarebbe altrettanto interessante essere uguale a sè stesso lungo tutta la vita integrando aspetti diversi della personalità, abitare contesti stabili, ma si dovrebbe incorporare il lavoro psichico che chiede di “divenire” un soggetto differente “rinnovando l’appartenenza” ad ognuno dei vincoli con caratteristiche nuove.
Quello che ho detto mi porta a supporre che il trauma non riporta necessariamente ad un’origine del trauma della nascita né al mondo singolare di ogni persona, dato che non è un concetto che dà conto di luogo e significato delle nuove tracce traumatiche che si producono nei diversi contesti di soggettivazione1. Il trauma si manifesta in un presente e potrà associarsi con un passato o con una inscrizione del tutto nuova.

Trauma e forze pulsionali

Nella maggior parte degli scritti psicoanalitici il trauma di qualsiasi origine è stato pensato nei termini di un disordine nelle forze del desiderio, incrementandone alcune e indebolendone altre o inibendo queste parzialmente o totalmente. La conseguenza è una rivoluzione in queste forze e nelle rappresentazioni e fantasie primitive, così come l’iscrizione di un segno che attiva tracce precedenti. Questo comporta una perturbazione dei meccanismi di difesa abituali e pertanto l’attivazione di quelli che hanno a che vedere con quella situazione.
La rivoluzione scatenata è stata descritta in funzione di quello che produce in quello che abbiamo
chiamato mondo interno del soggetto, che ha come conseguenza l’attivazione di scene che appartengono a un certo passato fissato che sembra assumere la precedenza. Il lavoro analitico consisterà allora nello scoprire un nuovo modo di pensarle, quello che è classicamente chiamato elaborazione delle situazioni traumatiche (Baranger M., Baranger W., Mom J., 1968). In questo modo è comune pensare che il trauma investe di nuovo quello che chiamiamo la mancanza primitiva o quel vissuto legato a una perdita irreparabile, che è quella che dà all’essere umano la sua umanità. Così sottolinea Julio Moreno (2002, p. 27) quando scrive che «l’umano dell’umano è dal punto di vista biologico una falla nella sua umanità», o detto in un altro modo: l’essere umano è essere umano nella misura in cui qualcosa gli manca.
Quello che manca attiva il processo di pensiero tale come è stato pensato da Freud nel “Progetto…”, rende possibile la conoscenza, le relazioni, ecc. ecc. però sembra chiaro in funzione di quello che sto proponendo e data l’ampiezza dei significati che il concetto di mancanza può avere, che non sarebbe adeguato riportare la mancanza soltanto all’originario in quanto può essere origine di nuove configurazioni. Come ho suggerito, applicare il concetto tradizionale di trauma per pensare situazioni traumatiche nei vincoli e negli insiemi, nella produzione di soggettività, sembrerebbe riduzionista ed evidenzia una difficoltà, una resistenza o un ostacolo.
É possibile che il trauma non solo scopra mancanze e riporti all’assenza di protezione e vulnerabilità originaria, ma che si iscriva come un eccesso, come un plus, con un segno proprio in base al quale è produttore di nuove organizzazioni. Qualcosa dell’ordine di un’imposizione esterna che eccede l’insieme e origina significati sconosciuti. Il modo tradizionale di affrontare il tema del trauma si sostiene in una concezione di una temporalità lineare che si appoggia in un modello evolutivo e offre la possibilità d’invertire la freccia del tempo in un’oscillazione progressiva e regressiva. Però riportare sempre il presente al passato può condurre ad una confusione e annullamento di quello che implica il presente, la novità, l’imprevedibile, quello che s’inscrive in eccesso.
Confondere presente e passato, relazionare sistematicamente passato e presente, o leggere soltanto il presente come determinato dal passato, «ostacola fare con quello che accade e capita» («avec ce qui arrive») come lo ha pensato Pontalis (2004).
Quello che accade s’iscrive come “qualcosa in più”, un eccesso, qualcosa non contenuto nella struttura a partire dalla quale si crea una storia del presente e che tende a sorprendere.
Nel caso del trauma, sia questo singolare o sociale, quest’iscrizione viene investita da una sofferenza speciale associata a sconcerto e incertezza prodotti da qualcosa che dirompe e fissa il presente bloccando l’avvenire delle oscillazioni ineludibili delle relazioni umane. Non si produrrà un’oscillazione ma un’interruzione repentina di esse.
Quando ci occupiamo del trauma come reminiscenza del passato, la problematica si iscrive nel presente della storia, è un presente determinato dal passato. E quando ci occupiamo di quel presente particolare creato da una situazione traumatica, dovremo riconoscere la particolarità della storia del presente. In quel caso il presente crea una nuova storia, la storia del presente che conosciamo creando nuovi racconti.

Diverse dimensioni temporali

Poichè ci costituiamo in differenti storie del presente, risulta conveniente riflettere intorno alle implicazioni che emergono considerando l’asse della temporalità. Per questa riflessione mi appoggio a quello che dicono Agamben nel suo libro “Infanzia e Storia” (2001) e Deleuze in “La Logica del senso” (1969). Questi autori confrontano, ogni uno a suo modo, la necessità di discriminare il significato delle diverse temporalità nella costruzione della storia dei miti, dei racconti, dei vissuti, della cultura.
Dividono la temporalità di Cronos in una temporalità circolare greco-romana, quella del mito, quella dell’umanità, della ripetizione, nella quale c’è un prima e un dopo che si alternano senza ordinamento cronologico ma di accadimenti e in una temporalità lineare judeocristiana quella della rivelazione, quella di Dio, di un’origine. A questo si aggiunge la temporalità dell’istante, del presente assoluto, dell’Aiôn, che apre ad infinite e imprevedibili biforcazioni, così come la temporalità che ha a che fare con la decisione, il momento giusto, che è quella di Kairos.
Secondo Agamben (p. 70), l’esperienza del lavoro e il luogo che questo occupa nella società attuale ha introdotto una concezione moderna del tempo somigliante a una laiciazzione del tempo cristiano rettilineo irreversibile. Si tratta di un processo strutturato secondo un prima e un dopo.
Una cosa simile ad un tempo fatto di istanti puntuali. È il tempo del presente puro, che non ha iscrizione previa ed è quello di Aiôn. È interessante renderci conto, come segnala Agamben, che si producono nuovi segni e che uno di quelli è quello che proviene dal posto che il lavoro ha nella società attuale che s’iscrive come un accadimento che rompe con una storia previa e introduce nuove assi.

Chronos

È probabile che la temporalità dell’inconscio freudiano sia stata concepita alla maniera del tempo giudaico-cristiano che sarebbe stato scomposto per poter essere incorporato al tempo pagano, greco, il tempo del mito. Ci sarà sempre qualcosa che accade, che è accaduto e tenderà a ripetersi, però allo stesso tempo nella circolarità le cose si ripetono senza appoggiarsi a un destino. Nella linea c’è un passato e un futuro, un’origine. Nella circolarità i fatti si succedono in un puro presente e senza stabilire una legge.
Il tempo lineare è quello che ha una rappresentazione più abituale nella mente e include l’idea che i cambiamenti si producono in esso a modo di rivelazione, di miracoli, là da dove è il tempo delle aspettative miracolose, dell’idealizzazione del futuro, e forse del soggetto supposto sapere. Un trauma che lo interrompe potrebbe leggersi però in termini di idealizzazioni negative, è una manifestazione del diavolo.
Il tempo lineare ha un inizio, il caos, la creazione e va verso la fine dei tempi, il futuro. C’è una promessa che dipende dalla volontà di Dio e che in psicoanalisi può essere il tempo della guarigione magica. Su questo modello si radicano le problematiche legate alla fase dello sviluppo che va dalla nascita alla morte, da un originario datore di significati, e per esempio di un progetto terapeutico in cui analista e paziente si proporranno un processo di cura con mete da raggiungere. Frasi come “adesso sta meglio di ieri”, “va abbandonando i suoi modelli infantili”, ecc. danno conto di una linearità. Il trauma nell’interrompere la linearità prevedibile, crea una frattura fissando la storia in un punto che serve da catalizzatore. È anche il tempo di un determinato modo di pensare la storia dei popoli e delle nazioni che rimane tratteggiata o fissata a partire da eventi traumatici come possono essere le guerre, le differenti sofferenze che lasciano segni e creano miti e racconti.
Un fatto si intreccia con un altro e la storia sembrerebbe ripetersi con alcune modifiche. Da quest’approccio un fatto attuale si spiega in funzione di una storia che si ripeterebbe. Per esempio, pensare che l’ultima dittatura argentina è simile ad altri stati dittatoriali e fa parte della cultura argentina che irrimediabilmente riappare. Un destino fatale.
Il tempo lineare ha date e segni che perdurano e i traumi aggiungono nuove date trovando spazio nella memoria e danno luogo a un lavoro di memoria. Ho presente l’incessante lavoro di memoria che svolgono i gruppi di diritti umani in relazione con i diversi genocidi. Dall’altra parte gli eventi² a differenza di una situazione traumatica, interrompono in una maniera particolare questa linea e in questo caso l’accadimento sarà solo creatore di una nuova storia però non verrà accompagnato da sofferenza e dolore.
Nella cornice delle caratteristiche della temporalità circolare un trauma crea diversi prima e dopo e non necessariamente quello che era prima continua ad essere localizzato nella medesima posizione. Dipende da dove si trova chi lo vive.
Momentaneamente altera un ordine senza che quest’alterazione rimanga fissata ma soltanto come ricordo che la circolarità impone le sue condizioni di attribuzione di significato. Non rimane fissata perché la ripetizione entra nei possibili cicli immaginari senza che questa diventi una legge.
A livello della rappresentazione di queste alterazioni quello che può succedere è che un fatto traumatico dia una nuova forma a un mito. A livello dell’effetto di presentazione, ossia di quello che non ha storia previa, l’evento traumatico altera soltanto interrompendo momentaneamente gli effetti della circolarità.
Se partiamo dal modello della natura, quello che lì è un segno o una traccia (può essere tempesta, terremoto, ecc.) che, in chiave di temporalità circolare, sebbene interrompa l’ordine delle cose, non per quello sosterrà una ripetizione. Per esempio, si saprà che dopo la tempesta viene la calma senza introdurre la nozione di presente e di passato. Questo segno trascina soltanto il tempo, la vita, la memoria, e ogni mito aggiunge qualcosa di simile a un racconto, a un’organizzazione che c’era già e avrà un destino particolare in funzione di ogni situazione.
È probabile che molte frasi della vita quotidiana referite al tempo come tema inesauribile denuncino l’inquietudine relativa a un tempo circolare. Introduce l’idea che gli eventi si succedono senza che sia possibile prevederli e con un certo tipo di alternanza che in alcune occasioni vengono accompagnate da una sofferenza e inquietudine proprie. Un trauma dà all’interruzione della naturale alternanza un carattere doloroso e generatore di angoscia. Nel tempo lineare, il ritorno, la regressione, contrasta la freccia diretta del tempo ed è il vero tempo dell’apres- coup. Un trauma rinvia a un altro, lo risignifica e ciò permette di credere che il presente non è tanto importante se non è legato al passato. Nel tempo circolare non c’è spazio per il concetto di regressione ma di una sorta di presente inafferrabile e d’interruzione momentanea di un’alternanza.

Aiôn

Immaginiamo che l’Aiôn sia un punto che non ha una dimensione e che si rifratta all’infinito. Dato che il trauma non solo fissa una storia ma apre anche un segno nel presente dando origine ad una nuova storia, dovrebbe essere possibile tenere in conto i significati propri di una temporalità del presente. Questo porta a riconoscere una temporalità del presente puro, quello di Aiôn concepito come un’esplosione che apre infinite biforcazioni, e ovviamente imprevedibili. Si tratta di una sorta di apertura ad una spazialità non soltanto lineare ma anche circolare. Due vicissitudini differenti che creano due storie differenti. Il trauma in chiave di Aiôn comporta l’idea che quello che capita e capiterà non ha a che vedere con una causalità deterministica. Qui la cosa importante sono i nuovi percorsi che si aprono a partire dalle biforcazioni della linea e che sono dotati di una qualità specifica; da una parte perdere l’appoggio del passato e dall’altra dare spazio all’incertezza sotto forma di un’angoscia particolare che dipende da ciò che è intrinsecamente nuovo e sconosciuto. E’ la novità pura con un’aggiunta di sofferenza, è quello che sfugge a qualsiasi previsione che si iscrive come traumatico. Introduce un vissuto di minacia e sebbene un po’ di questo accade tutti i giorni, la qualità traumatica aggiunge quei sentimenti e quelle emozioni legati allo stato di minaccia.
La sofferenza è anche dovuta alla perdita della possibilità di prevedere, anticipare il futuro, che in alcune circostanze sostiene l’illusione che il futuro non porterà niente di sconosciuto. Allora il trauma avrà anche un’iscrizione nel futuro non come ripetizione ma come anticipo di qualcosa di sconosciuto. Derrida (Derrida J., Habermas J. 2003) concepisce che il trauma è la minaccia del futuro, la minaccia di quello che può succedere, l’impossibilità di anticipare il futuro che emerge con più intensità soprattutto se è accaduto un fatto che s’iscrive come traumatico. Un esempio recente è stato quello che è accaduto alle torri gemelli di New York, che ha suscitato la riflessione di Derrida.

Kairós

Il tempo del momento giusto, quello delle decisioni, anche imprevedibile e molte volte arbitrario, che non è possibile definire con esattezza che si circoscrive nella temporalità di Kairós. In questo caso il trauma impedisce la possibilità di decidere e simultaneamente lascia una traccia fissata alla quale si dà un nome, quello dell’evento che l’ha prodotta.
In un certo senso il trauma in sé stesso decide e impone significati. Allontana una diversità per imporne un’altra, la quale dipende dal trauma stesso. Esige che s’implementino a posteriori strategie per fare qualcosa con l’accaduto e poi questo dipenderà dal luogo e dalla posizione di ognuno. S’interrompe il tempo delle decisioni della vita quotidiana e s’impongono tutte quelle che tenderanno a trovare palliativi, significare e fare in funzione dell’accaduto.
È probabile che per la pratica psicoanalitica il tempo di kairos sia quello dei nostri interventi, tante volte intraducibili dato che sono quelli che avvengono nel vincolo nella costituzione soggettiva in puro divenire. E anche quello che si prova a razionalizzare spiegando il perchè si è intervenuto in quel momento facendo utilizzo del nostro bagaglio teorico. Kairos è il tempo che per ognuno ha un senso preciso. Può concepirsi per esempio la data degli anniversari o di un altro momento della vita come il tempo di kairos. Ogni soggetto e ogni insieme iscrive il tempo kairosiano del trauma che è proprio e singolare di ogni situazione e di ogni vincolo. Forse è per questo che tante volte le tracce in chiave di kairos hanno diversi nomi. Per esempio, le torri gemelle, l’11 settembre, l’atto terrorista, ecc.

Riassumendo

Questo modo di affrontare la temporalità e il traumatico nella sua relazione con il prevedibile, l’imprevedibile e la simultaneità di iscrizioni, rende possibile il mettere in dubbio l’utilizzo del concetto di trauma, in quanto al suo far riferimento a un concetto condiviso dalla comunità scientifica.
Nella misura che il trauma si può iscrivere simultaneamente nelle diverse temporalità, si può assumere che può simultaneamente dare origine a un mito, a racconti, a storie, a tracce che s’iscrivono nell’inconscio e a tracce che interferiscono nella vita vincolare creando nuove iscrizioni. Queste si attivano in diversi momenti, creano una nuova storia, ossia una storia che non ha iscrizione previa: e questa è quella che dà forma alla storia del presente. E come ho già accennato prima, aprendo nuove biforcazioni, introduce un nuovo futuro il quale si carica di minaccia nel contesto di tracce traumatiche. Riassumendo, questo significa che il trauma crea un mito, il trauma in qualche modo è già iscritto. Il trauma ci fu inviato da Dio, una forza superiore, il destino, il trauma interrompe sempre un percorso lineare. Ognuno di questi modi di concepirlo ci porta a differenti ricerche.

Evento e trauma

Ho parlato di trauma e in qualche modo questo concetto cavalca e si differenzia da quello di evento. Quest’ultimo concetto fu poco a poco introdotto nel corpous teorico psicoanalitico per mano dei filosofi che tracciarono alcune linee guida. Molto dobbiamo a Lewkowicz (2004) il quale è stato capace di fare una sintesi creativa a partire dai concetti di Heidegger, Badiou, Deleuze e di altri filosofi. Ciò lo ha portato a una prima distinzione fra trauma ed evento che caratterizzò nel seguente modo. Per il trauma, sono condizioni necessarie sofferenza e dolore, disorganizzazione di una struttura consistente e solida. Ciò può sperimentarsi nel caso di irruzioni violente che disorganizzano una trama.
Per l’evento, e sempre seguendo Lewkowicz, contempliamo due categorie. L’evento che rappresenta un eccesso per la struttura data e introduce una novità che conserva una relazione di qualche tipo con quello che precede senza che necessariamente abbia a che fare con un determinismo di alcun tipo.
Quello che io chiamerei evento puro, che parte totalmente dalla struttura anteriore, e s’iscrive, se questo fosse fattibile, sulle sabbie mobili, o come direbbe Lewkowicz, su un mezzo fluido.
Ma in entrambi i casi quello che è notevole è la rottura con il passato, l’introduzione della novità e della sorpresa in una cornice d’incertezza. L’evento non è contenuto nella struttura precedente mentre il concetto di trauma prevede in generale una possibile inclusione nella struttura anteriore sebbene nella temporalità circolare abbia insistito sul fatto che produce qualcosa di nuovo.
È anche possibile collegare l’evento con il termine esperienza. Sembrerebbe che l’esperienza, come dice anche Agamben – poco a poco ha perso il suo peso significativo e la ricchezza di ciò che comporta un’esperienza. Questo è dovuto a diversi fatti, come per esempio, i mezzi massivi di comunicazione che ci danno informazione circa situazioni molto diverse che includono un ampio spettro di emozioni, sentimenti e affetti, senza che necessariamente diventino esperienza dato che la mente non può includere infinite variabili.

Probabilmente s’iscrivono in un tempo circolare o in una temporalità nella quale predomina Aiôn. Perche si possa produrre un’esperienza è necessario che la mente percepisca che c’è un “fuori” indipendente, che c’è un “tra due” e che questo fuori perturba un’organizzazione precedente. Perché ci sia esperienza si deve includere, introdurre e fare qualcosa con questo spazio fra il soggetto e il fuori capace di generare un nuovo stato emotivo. Per quale ragione presuppongo che sia fattibile collegare evento ed esperienza?
Per esempio, per un neonato un cibo è nuovo perché non lo ha sperimentato e dovrà fare l’esperienza di conoscerlo. Personalmente non ho sperimentato un terremoto o altre esperienze a cui altri sono stati esposti delle quali ho solo riferimento della loro esistenza e condizione di possibilità.

Il traumatico nei vincoli

È possibile pensare che quello che è traumatico in relazione alla costituzione soggettiva negli insiemi è dovuto al fatto di non riuscire a smentire o rinnegare la realtà nella misura in cui provoca una sofferenza e dolore che incide in modo diverso sull’organizzazione degli insiemi creando anche nuove opposizioni, nuovi dentro-fuori. Non sapremo mai in che modo un fatto traumatico colpisce tutti i membri di un insieme e questo aggiunge un fattore di fragilità all’insieme.
Però è difficile anche pensare che qualcosa che succede senza nessuna ragione, senza nessuna determinazione personale abbia conseguenze. Il trauma sociale irrompe e a sua volta organizza nuovi insiemi con delle conseguenze di diverso tipo nella vita di tutti i giorni di ognuno di noi. Il trauma sociale nei modi di appartenere a un contesto e nelle nostre relazioni con gli altri, suscita nuove responsabilità senza che queste possano essere lette in chiave di colpevolezza.
Il fatto traumatico sveglia un’angoscia specifica legata al principio d’incertezza (Puget J., 2002). Quest’angoscia specifica si accompagna spesso al terrore, alla difficoltà di pensare, al malessere, che agisce come polo di attrazione e si manifesta, per esempio, in una necessità compulsiva di conoscere le ultime notizie, di sapere, di prendere contatto. O al contrario, si sperimenta un ritiro specifico e il sentimento che qualcosa nello spazio sociale, spazio di costituzione soggettiva, è esploso. Negli insiemi può anche manifestarsi come un’intolleranza alle differenze ideologiche politiche e culturali.

È probabile che la filosofia attuale e la fisica ci abbiano messo in contatto con l’incertezza, la complessità e l’inconsistenza e che abbiamo perduto la sicurezza e la certezza che ci potrebbero dare le filosofie della modernità. Divenire soggetto sociale dà senso all’appartenenza a un insieme, ai modi di abitarlo, e questo comporta sapersi influenzati da quello che l’insieme impone, soffrire l’effetto disorientante delle relazioni di potere, intese come una necessaria reciproca imposizione di alterità e di estraneità, una relazione con i valori attuali ed ereditati con una tradizione, posizionamenti in differenti configurazioni e un permanente scontro con la dimensione intrasoggettiva. Per questo si sommano effetti di rappresentazione ed effetti di presentazione (Puget J., 2003).

Una commozione sociale

In alcune circostanze, quelle che si possono leggere in chiave di violenza, l’estraneo-esterno s’impone essendo incarnato nell’esercizio di un potere che diventa autoritario, arbitrario, irrazionale per alcuni e razionale per chi lo esercita. Qui regna l’egemonia dell’Uno e, come conseguenza, quello che potrebbe essere un’organizzazione fondata su una produzione congiunta a partire dalle differenze dei membri dell’insieme si destabilizza.
Si spostano e rinforzano i limiti e le frontiere, modificazioni del significato e qualità dell’appartenenza e i conflitti latenti si manifestano sotto forma di fessure. L’eccesso di presenza è un ostacolo per la diversificazione dei sensi e gli insiemi iniziano a perdere il loro potere vincolante.
Quello che chiamo qui eccesso per quello che ha a che fare con l’esercizio del potere economico dello Stato Nazione, può manifestarsi sotto forma di misure che in alcuni casi provocano più povertà, clandestinità e sostengono l’ingiustizia sociale. Altre manifestazioni sarebbero nell’ordine dei delitti che hanno risonanza sociale, per esempio, creando quello che oggi si denomina precarietà.
Questi stati che potremmo chiamare traumatici possono essere causati da un fatto naturale come un terremoto o un’inondazione però dipenderà dall’organizzazione sociale il modo di affrontare la riparazione dei danni provocati.
Ogni situazione genera i suoi significati e modalità soggettive proprie, così come nuove organizzazioni dei vincoli. Quello che a partire da lì può essere pensato come traumatico è l’impossibilità di negare che è successo qualcosa di doloroso, sorpressivo, tempestivo e che ciò necessariamente ha delle conseguenze di diversa grandezza per una parte della popolazione.

Materiale clinico

Tempo fa nella città di Patagones, un bambino con una pistola uccise i suoi compagni di scuola, fino a che uno di loro riuscì a toglierla delle mani. Era una scuola come tante. Questo evento fu di grande impatto e fu preso e fatto proprio dai mezzi di comunicazione e dai differente partiti politici.
Questo può succedere con i fatti che hanno una certa trascendenza che accadono nel contesto sociale ed appartiene all’area del pubblico. Ovviamente commosse una parte della popolazione sebbene in maniera diversa a seconda dell’insieme in cui s’iscrisse quest’evento.
Dato l’aspetto sorprendente e traumatico di questa situazione, come di solito accade, si mise in atto uno dei meccanismi abituali, quello di cercare di spiegare, trovare motivazioni, una causa, nella logica di trovare un colpevole. Il colpevole specialmente scelto in questo caso, oltre al bambino stesso, fu la famiglia e la coppia genitoriale, la scuola, il contesto intorno, il paese. Suscitò una sovrabbondanza di interpretazioni psicologiche, spiegazioni che finirono per attribuire quest’evento tanto al malessere del paese come al regime militare della dittatura (seguendo una idea deterministica) a partire dalle tracce che può aver lasciato in tutti e nel paese, che tendono a ripetersi.
Altre spiegazioni si spostarono nella direzione di pensare in termini di soggetto singolare, del bambino in particolare, e allora apparsero diagnosi di psicosì o altre malattie mentali che potessero spiegare tale comportamento, ecc. È stato difficile accettare che qualcosa di totalmente sorprendente fosse appena successo.
Qualcosa dell’ordine dell’orrore, e la scuola a partire da quest’evento aveva una doppia iscrizione: quella dovuta alla situazione traumatica che riporta al passato e quella che introduce una nuova biforcazione ed è del tempo di Kairós da dove partono due linee che inaugurano diversi lavori psichici. Una di loro riporta a una causalità. L’altra apre una storia nuova che bisognerà scoprire.
In relazione alla scuola, si presero diverse misure e una di queste, a modo di protezione, fu chiuderla per alcuni giorni. Ci furono manifestazioni nel paese e in altre scuole del paese. Però non c’è dubbio che questa scuola non sarà più la stessa e inizierà una nuova storia.

Nelle sedute che avvennero dopo questa data, la maggior parte dei miei pazienti in un modo o in un altro fecero riferimento al tema. Era difficile non sapere, non parlare, ed era evidente che la seduta non era come quella di tutti gli altri giorni. Sebbene questo appartenesse al contenuto manifesto, mi resi conto che questo dire, questo parlare aveva altri significati come quello di permettere di accedere a trasformare il vissuto in un’esperienza.
Non era possibile collegare questo materiale direttamente alla storia individuale di ognuno, però fu utile iniziare a riconoscere che effetto aveva nella quotidianità di ognuno e nella qualità dei movimenti solidali che suscitò. Si stavano costruendo o producendo nuove qualità nella soggettività sociale.
Si trattava di prendere questo materiale come puro contenuto manifesto alla maniera di un residuo diurno o poteva avere senso come spunto iniziale di un tempo di Kairos che apre nuove biforcazioni che includevano un primo stato di stupore e sconcerto?
Si trattava di costruire una nuova storia, un passato che imponeva la sua presenza o la minaccia si spostava sul futuro senza sapere di cosa si trattasse, in assenza delle risorse abituali per affrontare il presente; o soltanto era una questione di vivere il presente e sopportare quello che avveniva acquisendo la convinzione che qualcosa poteva accadere?
Vediamo una seduta e quello che aveva suscitato. Juan entra e dice di avere “la sindrome di Patagones”. Suppone che entrambi sappiamo di cosa si tratta e qui inciampiamo con una prima difficoltà. Crediamo entrambi di sapere lo stesso, senza dubbio o comunque non sappiamo come lavorare insieme su questo tema né che che effetto produrrà in entrambi, in quello che possiamo fare insieme.
Pensare in termini di sindrome fu un modo probabilmente difensivo di tradurre il vissuto. Dato che eravamo in una situazione di trattamento psicoanalitico, sindrome fa parte di un linguaggio possibile. Includere l’accaduto in una categoria pensabile e accorciare lo spazio “tra” che definisce la nostra relazione.
Un primo interrogativo. Necessariamente quello che era accaduto si poteva inquadrare all’interno dell’ordine del traumatico per tutto il mondo? O era una questione traumatica per alcuni e per altri soltanto un evento? Come determinare questo? Patagones imponeva la sua presenza e i suoi significati.

Da una parte ci obbligò a pensare nella sorpresa, nell’inatteso, nell’iscrivere nel futuro una possibile minaccia in relazione alla quale nessuna precauzione poteva essere presa. Ciò porta a pensare in cosa consiste l’appartenenza a un contesto, il prezzo da pagare e come costruire tutti i giorni la soggettività sociale e la necessità di rinunciare al già noto.
Se invece si trattava di un fatto che s’iscrive come una ripetizione di un certo tipo di passato storico o per il bambino qualcosa che avesse a che fare con la sua famiglia, o per la scuola che si trattasse di un problema inerente al funzionamento dei suoi membri, potremmo occuparci del passato affinchè che questo non si ripeta.
Tornando a Juan, alla relazione paziente-analista, quando lui annuncia che viene con una sindrome, ha già dato una forma psi a quel vissuto che include qualcosa di nuovo. Questa sindrome non esiste nei libri.
Trasmette un’inquietudine, un timore, un malessere. Sarà che si identifica con quello che immagina che è successo in quella piccola città, nella scuola? Sarà che utilizza una metafora medica per fare in modo che io mi possa occupare di quello che sente? Sarà che il concetto di identificazione non copre il vissuto? Sarà che dato che questo paziente ha figli fa fatica a pensare, o è doloroso pensare, che i suoi figli possano essere toccati da quello che è accaduto, o peggio ancora, potrebbero commettere un atto di questo tipo? Quante variabili possibili e quanto sconcerto per analista e analizzando.
Ci sono tanti personaggi e tante scene possibili al punto che “non è semplice sapere come collocarsi”, come restituì all’analizzando. Quello che feci fu pensare in termini di Aiôn, delle innumerevoli biforcazioni che il tempo lineale aveva interrotto e che avremmo potuto prendere qualsiasi percorso senza stabilire priorità.
Piano piano il paziente prese uno dei percorsi possibili: quello della sua appartenenza al suo contesto, contesto corrotto, si sentiva impotente su come intervenire, dato che era testimone di azioni corrotte. Passava dalla necessità di collocarsi come colpevole, alla sfida che la situazione gli imponeva. Oscillava fra la logica della colpa e la logica della responsabilità, con l’aggiunta che, in quanto funzionario, doveva prendere una posizione.
Si rendeva conto che a partire da questo fatto si introduceva un futuro imprevedibile.
Però senza dubbio non gli era possibile intervenire direttamente nella situazione di Patagones ma poteva riconoscere quale percorso fosse stato aperto. Aveva la speranza che la relazione analitica potesse permettergli di pensare, evitare identificazioni che io concepisco come radioattive, ossia impossibili da controllare e che rendono inaccettabile l’inatteso. Però fondamentalmente questo fatto poteva costituire un punto di partenza per approcciare questioni che ancora non avevano avuto luogo.
Chiamo identificazione radioattiva (Puget J. 2002, Gampel Y., 2001) quell’identificazione della quale non riusciamo a seguire la traiettoria ma che semplicemente proviene da effetti imprevisti a distanza, ai quali dobbiamo far fronte e soprattutto che dobbiamo riconoscere. Sapere che siamo trasmissori e ricettori degli effetti di situazioni che si producono a molta distanza e che hanno ripercussioni nel nostro modo di appartenere e costituire la nostra soggettività sociale, senza che possiamo relazionarli al nostro contesto immediato nè al contesto familiare, nonostante sia inquietante, è senza dubbio ineludibile.
Piano piano Juan iniziò a pensare ai rischi di vivere così, come agli innumerevoli rischi ai quali si espone. Due linee possibili, una controllabile, l’altra incontrollabile.
Per esempio, guidare a molta velocità, dare un ritmo eccessivamente accelerato alla sua vita, appartenere a un contesto corrotto nel quale cerca di trovare un nuovo spazio, rendersi conto che a tratti agisce come un automa rispondendo a ordini senza riflettere. Vivere in un contesto corrotto e violento non è controllabile e, comunque, esige decisioni che bisogna inventare in ogni circostanza.

Alcune riflessioni

Questi commenti costituiscono un tentativo di pensare come si costruisce la storia di un soggetto, la storia che costruiamo con i nostri pazienti lungo il percorso analitico, la storia che recepiamo dai nostri pazienti che si intreccia con la nostra storia personale, ossia quella del nostro Paese, della nostra cultura, delle nostre fedeltà scientifiche, della nostra vita singolare. E anche pensare che la sovrapposizione di varie iscrizioni di temporalità possa aiutarci a non rimanere con una sola interpretazione, ma al contrario ad accettare che si tratta di dimensioni eterogenee. Green (2000) facendo riferimento a questo tema insiste nel fatto che ogni soggetto vive in un tempo che chiama esploso, qualcosa come una totalità che esplode in mille pezzi. Allora si aggiungerà una difficoltà che è precisamente ciò che non si può conciliare, che si oppone a una necessità di armonia, di integrazione e sintesi che il soggetto umano richiede.

¹ Karen Seely in un interessante articolo si riferisce al tema denunciando le difficoltà degli psicoanalisti di non riportare i traumi di ordine sociale al mondo di fantasia dei pazienti.

² Più avanti stabilirò la differenza fra trauma ed evento.

Bibliografia

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