“Le difese della psiche al tempo del Covid”
Questa pandemia che ci ha colti di sorpresa e impreparati, come un trauma che irrompe all’ improvviso, mi sembra stia facendo da amplificatore alle possibili difese che la nostra psiche è in grado di mettere in atto, rendendo così più evidente come sia possibile farne uso in modo disfunzionale o protettivo e sano.
Fin dall‘ inizio, abbiamo visto mettere in campo dagli stessi governanti, meccanismi difensivi di negazione (“è una influenzina!”), se non di scissione e proiezione (“in Cina si sono ammalati perché mangiano topi!”, se non “gli italiani vivono nei rifiuti, non come noi inglesi!”, fino a “gli europei non sono ricchi come noi americani!”).
La paura ha sollecitato aspetti persecutori-paranoidi: “è un complotto della Cina!” o “è un tentativo di instaurare un regime dittatoriale!” fino a “il fine è condizionare e controllare le menti!”.
In altri momenti la reazione è stata ipomaniacale con canti e applausi dai balconi, in reazione all’angoscia depressiva della perdita di una normale vita di relazione.
Tante e diverse le funzioni difensive utilizzate, a fronte di un evento così drammatico e imprevedibile: all‘ impatto traumatico, al cui arrivo non si è mai preparati, difese così primitive e massicce sono inizialmente inevitabili: “Non posso credere che sia successo veramente! Non può essere successo proprio a me!” sono i pensieri che chiunque si trova a formulare quando è colpito da un evento traumatico, proprio perché il trauma è tale perché inatteso e non-pensabile, inimmaginabile. Questa iniziale presa di distanza, può essere utile se ad essa fa seguito una ripresa della capacità di pensiero, con la messa in atto di difese più sane e efficaci.
La stessa negazione ha una sua importante funzione se permette di proteggere la mente e la nostra quotidianità dal bombardamento giornaliero di notizie nefaste.
E protegge noi stessi terapeuti, dopo che abbiamo accolte le angosce dei pazienti, in particolare i pazienti che in questo momento lavorano sul ‘fronte’ sanitario, che ci riversano in seduta vissuti di malattia e di morte.
Anche il movimento proiettivo-paranoide è un tentativo di dare un senso ad un evento che appare incontrollabile e che ci pone in contatto, in forma mai prima avvenuta e in modo collettivo, con un gravoso sentimento di impotenza e precarietà.
Come i dispositivi protettivi di cui tanto si parla (mascherine, guanti, schermi…) devono essere utilizzati quando necessari e con modalità funzionali, così tutte le difese psichiche di cui disponiamo, anche le più regressive, possono essere utilizzate come barriere massicce al pensiero o come filtri protettivi e mobili.
Una situazione che sconvolge la normalità, sollecita emozioni e vissuti fuori dall’ordinario, che possono essere interpretati come patologici oppure come sufficientemente adeguati alla realtà.
In particolare, all’inizio di questo evento imprevedibile, le reazioni emotive sono state ugualmente imprevedibili.
Un paziente preoccupato mi dice: “sono diventato ipocondriaco! Mi ascolto continuamente per cogliere eventuali sintomi, come quelli che ho letto!”.
Un altro mi dice: “Sono diventato fobico-ossessivo! Mi lavo spesso le mani e disinfetto tutto!”.
Una paziente invece racconta di provare senso di colpa perché sta bene col partner, dimenticando tutto ciò che accade fuori.
A questo proposito mi ha colpito quanto ho sentito da un comico alla radio: “Sono ipocondriaco e paranoico” dice, “e finalmente posso dire: avete visto che avevo ragione io ???”.
Questa battuta mi sembra esprima molto bene come difese in un certo contesto patologiche, possano essere in un altro contesto funzionali, se transitorie e protettive, come nel caso dei pazienti sopracitati.
Il crinale tra normalità e patologia è sottile. Le difese psichiche possono oscillare da un uso rigido e dannoso per la sopravvivenza (all’origine dei ritardi nella messa in atto di misure protettive, di cui alcuni dirigenti si sono resi colpevoli: “Non riguarda noi, solo voi!”) ad un loro utilizzo flessibile e autoprotettivo.
Un ottimo esempio del pensiero onnipotente, insorto a difesa da una grande angoscia di impotenza, mi è stato fornito da una paziente medico che mi racconta inorridita di un collega che, nonostante la febbre, “saltellava” tra i letti in reparto, sostenendo che “non era niente”, salvo poi essere costretto a casa con problemi respiratori, in preda al terrore di morire per soffocamento.
La stessa paziente, valida professionista, mi racconta come si senta, in modo per fortuna transitorio, quasi “invincibile” quando lavora sul “fronte” in ospedale: un pizzico di onnipotenza serve! …se non è un diniego massiccio della propria fragilità come per il collega di cui mi parlava, il quale ha dovuto poi inevitabilmente affrontare quella angoscia di morte che voleva evitare.
Avere difese sane, come le mascherine, i guanti o gli schermi, vuol dire poterle indossare e abbandonare con libertà, a seconda della necessità a cui si debba far fronte, finchè non si diventa “immuni” cioè in grado di assimilare il trauma che entra, allora, a far parte della nostra storia e del nostro patrimonio.